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Viaggio all’Inferno presso l’Ufficio Anagrafe/Stato Civile di Japigia
30 Agosto 2018

Viaggio all’Inferno presso l’Ufficio Anagrafe/Stato Civile di Japigia

Lucia Rita Di Bari Cronaca

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“Lasciate ogni speranza, voi che entrate” è, ormai nell’immaginario collettivo, per motivi di burocrazia e non solo, il cartello appropriato da scorgere sulle pareti, tappezzate di avvisi e informazioni al pubblico, quando ci si imbatte volente o nolente presso un ente pubblico.

Così, Sos Città prende la sentenza simbolo dall’Inferno della Divina Commedia di Dante Alighieri e la pone all’ingresso dell’Ufficio Pubblico di Bari, in particolare per l’Ufficio Anagrafe/Stato Civile di Japigia, frequentato per i certificati d’identità e di residenza, quindi luogo fondamentale per il diritto di cittadinanza.

Ufficio Anagrafe/Stato Civile Bari Decentrato – Delegazione di Japigia, via Paolo Aquilino, Piano terra


L’Ufficio di Japigia, inaugurato 15 anni fa, in via Paolo Aquilino (accanto alla Polizia Locale e di fronte alla nuova Regione Puglia), insieme ad altri uffici sparsi in città, fa parte del progetto di decentramento e delegazione della sede centrale sul lungomare Vittorio Veneto, in largo Fraccacreta, attuata per migliorare il servizio pubblico, a cui si rivolgono migliaia di cittadini baresi e che allo stato dei fatti, è paradossalmente approssimativo, a causa dell’impossibilità d’assunzione di nuovo personale che è motivo di disservizio, accumulo di lavoro, chiusura anticipata e oggi, si presenta, come una baracca fatiscente, almeno nei locali aperti al pubblico, circoscritti da porte serrate e cartelli di dubbia cortesia.

Ha inizio il nostro viaggio all’Inferno.

L’ingresso è spaesante: un cancello bianco arrugginito si apre su aiuole secche e colme di cartacce, poi, un paio di vasi in cui, un tempo, fiorivano piante che non videro mai acqua e morirono, oggi, accumulano cicche di sigarette a centinaia, poi, la vetrata d’entrata è mantenuta aperta da una fila di sedie da sala d’attesa, di cui delle tre, una sedia è sparita.

Il vano ascensori (che almeno di base consente l’accesso ai disabili) è spoglio e desolato, privo di un gabbiotto in cui trovare un custode che dispendi informazioni e chiacchiere… forse meglio così, perché le chiacchiere sono distrazione e nella cosa pubblica guai a distrarsi, altrimenti per l’utenza bisogna ripartire dall’inizio e le ore impiegate (e perse) in code saranno state vane.

La sala d’attesa è terrificante o quasi: c’è da ammettere che l’ambiente è ben illuminato e arieggiato, grazie alla rampa di scale vicina che aiuta la corrente, però, anche qui, un’altra fila di sedie da tre ha una sedia che manca e chi può prende posto dove può, mentre gli altri restano in piedi, ad attendere il turno.

Probabilmente, per ammazzare l’attesa ognuno si dedica a un hobby: ai bambini riesce semplice giocare a rincorrersi negli ampi vani, vuoti e agli adulti riesce semplice contare i buchi e l’intonaco scrostato nelle pareti, la polvere a batuffoli agli angoli, fazzoletti, bicchieri, cartacce e plastica abbandonati dovunque per inciviltà e inettitudine, gli impianti di riscaldamento rotti, smontati, a pezzi, usati come pattumiere, i cavi elettrici scoperti sotto gli occhi di tutti, ogni giorno, di chi è di passaggio, e di chi ci lavora.

Poi, appoggiato a una parete della sala d’attesa c’è un materasso, incelofanato, nuovo che tutti notano, curiosi, e suppongono che appartenga al vicino ambulatorio della Guardia Medica, ma resta l’assurdità della decisione di tenerlo lì, fuori, incustodito.

(Non) dulcis in fundo è il criterio di prenotazione all’arrivo: sapendo che l’ufficio pubblico apre alle ore 9 o alle ore 16 e deciso per regolamento interno che di mattina solo 20 persone possono essere ricevute e di pomeriggio solo 10 persone, il pubblico cittadino come nella favoletta della gazzella che in Africa deve correre più veloce del leone per sopravvivere, deve comportarsi così: deve affrettarsi e presentarsi ore prima, giocare d’astuzia, presso lo sportello ancora chiuso e aspettare che l’addetto all’ufficio pubblico di competenza distribuisca il numeretto, a mano (perché la macchinetta non funziona), come un dio buono o crudele durante la costruzione dell’Arca di Noè (che Darwin avrebbe spiegato scientificamente con la Teoria della selezione naturale della Specie), perché tutti coloro sprovvisti di numeretto, tutti coloro che sono oltre il numero di accettazione giornaliera, tutti coloro sprovvisti del materiale richiesto, agli atti d’ufficio, saranno respinti e rimandati, dannati e destinati al Limbo.

Durante il turno pomeridiano dalle 16 alle 17.30 possono ricevere utenza solo 10 persone tra adulti e minori, pertanto se un genitore accompagna giustamente tutti i minori di cui ha la patria potestà riceve un numeretto per ognuno di loro necessitante di servizio, esaurendo la possibilità di chi sta in coda successivamente.

È mai possibile una condizione così da terzo mondo? È opportuno un sopralluogo e un intervento dell’Amministrazione Comunale e Municipale che garantiscano la normalità, contro l’alienazione sia dell’utente che del referente pubblico, quest’ultimo in evidente stato di insostenibilità, incapace addirittura di curare una piantina sul posto di lavoro, ammesso che non sia di sua competenza, ma sicuramente della Multiservizi.

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