L’assenza del “pubblico” genera mostri?
“Ab uno disce omnis” (da uno capisci come sono tutti) era l’amara constatazione di Enea nell’Eneide di Virgilio e come i Troiani furono causa passiva della distruzione della propria città aprendo le loro porte per accogliere in dono il cavallo di legno da parte dei greci così i baresi spesso accolgono, cadendo poi in inganno, a braccia aperte uomini che si celebrano eroi della città e prossimi risolutori di difficoltà e problemi.
“Da uno capisci come son tutti” molto spesso, in riferimento in questo caso al primo cittadino, è l’espressione che più diffonde tristezza, delusione e passività negli animi dei baresi. Tuttavia, lungi da critiche dirette ai lavori dell’amministrazione che possono o meno unire i cittadini di Bari, è bene soffermarsi e evidenziare quanto l’inefficienza e l’incuria del pubblico possa molte volte rovinare la vita del privato.
Fichte, filosofo idealista del XVIII secolo, considerava lo Stato come un semplice mezzo, indirizzato al “proprio annientamento, in quanto lo scopo di ogni governo è di rendere superfluo il governo”. Non è chiaro se l’amministrazione barese si sia ispirata all’idealismo fichtiano, anche se risulta poco credibile questa influenza tedesca ottocentesca, tuttavia è senz’altro vero che l’attuale amministrazione abbia accolto in estremo il significato delle parole di Fichte: è un’amministrazione fantasma e sorda.
Al contrario, il pubblico anziché rendersi “inutile” al fine di formare cittadini adulti e autonomi a favore di una società di persone libere e responsabili (come sosteneva il filosofo), si rende inutile… e basta. A dir di più, è il privato che interviene laddove il pubblico è invisibile: esempio lampante è l’associazione pensionati dell’Arena Giardino di Japigia, i quali provvedono autonomamente e su suolo comunale alla pulizia, allo svolgimento di attività ludiche e persino al pagamento di lavori effettuati sul territorio (dalla riparazione dei cancelli all’aggiustamento delle macchinette di bevande).
A questo si aggiungono i numerosi interventi dei residenti dei quartieri di Japigia e del c.d. “Quartierino” che chiedono panchine, strisce pedonali, semafori e elementi essenziali che garantiscano una vita dignitosa e serena: non chiedono beni di lusso, ma beni vitali.
A volte, però, l’inefficienza del pubblico non si limita a rendere i privati dipendenti comunali senza contratto e -positivamente- abusivi, ma si spinge a rovinare la sfera privata e intima del cittadino. Numerosi sono i casi in cui l’incuria, la decadenza e il regresso urbanistico (e non) hanno portato disagi nella vita del privato e lungi dal voler riportare il caso cronologicamente più vicino riguardante la caduta del ponte Morandi di Genova, soffermiamoci su esempi meno gravi e locali: via Marchese di Montrone una segnalatrice evidenzia rifiuti i cui odori nauseabondi e liquami sparsi per terra rendono l’abitazione nei dintorni invivibile e il timore di infezioni, ipotesi molto spesso concretizzata, è più sentita che mai.
Il pubblico non può permettersi di rovinare e danneggiare il cittadino: imperativo categorico dell’amministrazione deve essere quello di crescere la città come una mamma farebbe col proprio figlio o, se preferite, come De Laurentiis (si spera) farà con la squadra bianco rossa.
In guerra, molto spesso, non c’è torto né ragione. Virgilio non ci dirà mai se i troiani abbiano mai meritato quell’inganno, ma quello che possiamo senza dubbio affermare è che i baresi non meritano un cavallo di Troia che entri nella propria città.