Monologo su una vita perennemente tesa al suicidio

É difficile dar vita ad una descrizione di quello che oggi viene chiamato “fenomeno della droga”, è difficile perché potremmo mostrarvi dati statistici, studi già effettuati e una serie di numeri che sarebbero lontani da quello che la realtà, il vissuto richiede. Motivo per cui per cogliere le problematiche e le sfumature della questione “droga” è bene entrare nella testa di un soggetto assoggettato a questa forma di dipendenza. Oggi vogliamo lasciar parlare i pensieri, non gli studi o dati statistici.
Vi proponiamo, dunque, una breve riflessione interna su “una vita perennemente tesa al suicidio”:
“Il perché non mi è chiaro, non mi è chiaro il motivo e in realtà nemmeno la situazione. So solo che devo, rispondo ad una esigenza, rispondo ad una “telefonata” insistente che mi intacca la mente e il fisico. Devo rispondere “pronto” a questa telefonata, anche se pronto non sono e non voglio esserlo.

Ecco, la morte è la telefonata, la droga è il cellulare: non posso dir a gran voce “pronto” e accettare passivamente la morte, ma mi è difficile non prendere in mano quello strumento che mi porterà a chiudere i miei occhi per sempre.
É un paradosso lo so, molti riconoscono follia e contraddizione nelle mie parole e per questo si allontanano da me: non voglio lasciare questa vita, ma non riesco a smettere di iniettare sostanze nel mio corpo. Non voglio finire ogni settimana in mezzo alla strada, guardare in faccia la civiltà, vedere passanti che per mera compassione mi lasciano nel bicchierino qualche spiccio… se solo sapessero che quegli spicci mi stanno portando alla morte. Non voglio spegnermi e essere dimenticato da chi non può nemmeno dimenticarmi perché non mi ha mai conosciuto. Non voglio chiudere gli occhi la notte per la stanchezza e pregare che mi si aprano il giorno dopo. Questa non è vivere, è solo respirare.
Voglio dar un senso alla mia vita, che non sia tesa perennemente alla morte. E voglio che qualcuno si accorga di me. Sono debole, sono consapevole dei miei errori e l’unico responsabile di questa mia morte vitale (o vita mortale) è solo mia, ma ora chiedo aiuto. Non voglio essere abbandonato.
La mia giornata tipica non è poi così tanto tipica, visto che già è tanto se respiro.
Se i miei polmoni la mattina fanno il loro lavoro, allora ecco che si comincia: passo la mattinata a cercare soldi per strada, non sapete quante monete si possono trovare guardando in basso (tanto non ho la dignità di guardare in alto, allora mi vien facile guardare giù).
Il pranzo lo passo vicino alle chiese, ci sono spesso persone che si avvicinano e lasciano soldi anche se io non li chiedo, in realtà mi siedo vicino le chiese solo per trovare ascolto… invece tutti si dileguano lasciandomi in mano 1euro. Preferiscono spendere i loro soldi, anziché ascoltare chi ha da dire qualcosa. Vabbè, meglio di niente…
Il pomeriggio tocca all’elemosina: è la parte pessima. Ditemi se questo è un uomo… ed io evidentemente ho perso tutta la mia umanità, perché quello che nessuno sa è che tutti quei miseri spicci che raccolgo nell’arco della giornata si trasformano in morte: sono la corda per l’impiccato, sono la ghigliottina per l’esecuzione, sono la droga per chi, come me, si droga.
La sera è il momento in cui tutti questi miei pensieri, che emergono durante il giorno, scompaiono: niente compassione, niente poesia, niente parole profonde, voglio la mia droga e voglio dimenticar tutto. Dimenticate quanto detto, sto bene così. Vivo una vita perennemente tesa al suicidio.
Ho tanto da dire e poche orecchie che ascoltano. Vorrei dare concretezza alle mie parole, ma come posso? Non ho sostegno, non ho aiuto, son caduto nell’oblio e non mi alzo più. La società mi respinge, faccio schifo a tutti, ma la colpa è mia lo so… ma non posso accettare di vivere intorno a UMANI disumani.
Io ho chiesto aiuto, è la droga che mi ha risposto.”

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