Ricetta per un’Italia migliore

Una delle questioni più frequenti per cui vi sono più domande che risposte è la seguente: la risoluzione dei problemi italiani e, di conseguenza, il miglioramento del “vecchio stivale”.

Marinetti, capofila del movimento futuristico italiano, nel 1909, affermò: “Un’automobile da corsa è più bella della Vittoria di Samotracia” e se tale poeta vivesse nell’Italia del XXI secolo farebbe bene a farsi bastare un due ruote, o peggio, un triciclo.

  1. Cosa cambiare affinché l’Italia si rimetta in moto, quindi?
Ebbene… gli italiani!
La soluzione al problema del -usando ancora espressioni vicine al mondo della meccanica- “rallentamento” della penisola non è da ritrovarsi in decreti, leggi o in alcun tipo di intervento economico né tanto meno in nuove formazioni governative.

L’unico modo da cui ripartire sfrecciando come una Ferrari (e non come un triciclo senza ruota) è quella che Antonio Gramsci chiama “rivoluzione culturale”.

Indispensabile è lavorare ad un progetto politico-culturale adeguato alle contraddizione della fase storica e dar vita a un nuovo punto di riferimento, l’intellettuale, che sia portatore di valori che celebrano la cultura, la consapevolezza del sé, l’autocritica e la critica kantianamente intesa come Kritik, la quale contrapponendosi all’atteggiamento mentale del “dogmatismo”- che consiste nell’accettare opinioni o dottrine senza interrogarsi preliminarmente sulla loro effettiva consistenza- aiuta l’individuo ad interrogarsi programmaticamente circa il fondamento di determinare esperienze umane.

Sono dunque i valori e le ideologie la base da cui ripartire per costruire un palazzo che non venga poi abbattuto per abusivismo- italian style docet.

La politica italiana sta vivendo i tempi più bui a causa della nuova prospettiva che via via si sta affermando nel territorio: le scelte politiche influenzate dal concetto di “leadership” e non più frutto di una elaborazione interna al soggetto il cui risultato porta alla formulazione di ideali e valori. In altre parole, negli ultimi anni sta venendo meno il concetto di “ideologia” che è stato oramai sostituito da quello di “leadership”, nonché la volontà del soggetto-cittadino di votare in funzione del personaggio politico prescindendo da qualsiasi pensiero autonomo.

L’idea di un leader carismatico che domina un pubblico da lui soggiogato porta due conseguenze inarrestabili: da un lato il cittadino perde la propria capacità critica e di autonomia del pensiero, affidando persino la sua mente a quella di un uomo, visto come figura unica, capace di trasformare i propri seguaci con la sola forza della volontà; dall’altro il soggetto-cittadino si sentirà libero di delegare ogni tipo di responsabilità al leader, il quale, in caso di fallimento, diverrà il capro espiatorio liberando da ogni peso il cittadino stesso, al quale non sarà imputabile alcuna colpa, se non quella di essersi affidato ad un capo.

Ebbene, ai cittadini è data la possibilità di scegliere a quale formazione politica affidarsi, ma oggi è diffusa la prassi di scegliere in funzione non del proprio orientamento politico, ma in rapporto al soggetto-politico che si ha di fronte. A conseguenza di ciò nasce l’elemento più pericoloso e che ammala la nostra cara Italia: la mancanza di responsabilità e di senso civico nei cittadini. Ecco che il concetto di “rivoluzione culturale” trova spazio.

La rivoluzione culturale a cui si è fatto precedentemente riferimento si concretizza ed è di massima espressione nel pensiero dell’illuminista Immanuel Kant, le cui riflessioni si mostrano di una necessità e modernità sconcertante. L’essere umano è dotato di sensibilità, ossia impulso e animalità, ma anche di ragione. In questa bidimensionalità dell’essere umano l’agire morale prende forma severa del “dovere” e si concretizza in una lotta permanente tra la ragione e gli impulsi egoistici. La morale a cui il filosofo fa riferimento non è altro che “l’imperativo categorico” che si concretizza come prescrizione di agire secondo una massima che può valere per tutti. In altri termini, l’imperativo categorico è quel comando che prescrive di tener sempre presenti gli altri e che ci ricorda che un comportamento risulta morale solo se la sua massima appare universalizzabile rispettando la dignità umana che è in noi e negli altri.

La legge morale è dunque la ricetta per combattere la leadership politica e la mancata responsabilità e partecipazione al sociale, in quanto il nostro agire terrà presente noi e gli altri. Ma attenzione, il dovere-per-il-dovere nel rispetto della legge deve necessariamente implicare non solo il rispetto della legge in sé, ma anche una partecipazione interiore, altrimenti si rischia di scadere in atti di legalità ipocrita oppure in forme più o meno mascherate di autocompiacimento. Non è morale ciò che si fa, ma l’intenzione con cui lo si fa.

Questa legge morale in ognuno di noi porterebbe alla virtù civica e spiega il motivo per cui spesso ci riferiamo ai paesi nordici quando parliamo di civiltà (dal biglietto dell’autobus pagato al non buttare una carta per terra).

I tedeschi hanno avuto Kant che ha insegnato loro la legge morale e questo grande filosofo tedesco una volta affermò: “Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me”.

Eppure io, nel cielo italiano, non vedo più splendere stelle… e voi?

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